Lo Studio Legale viene fondato alla fine degli anni ’50 dall’Avv. Gennaro Zanfagna. Nato nel 1930 a Napoli, si laurea all’Università Statale di Milano nel 1955 e patrocina presso la Suprema Corte di Cassazione. Proveniente da una famiglia con lunghe tradizioni forensi, si specializza nel diritto commerciale, societario, bancario e fallimentare.
Nel 1990 il figlio Renato Zanfagna, seguendo le orme del padre che già in giovanissima età lo aveva fatto avvicinare alla professione, si laurea all’Università Statale di Milano e nel 1993 diventa Avvocato, superando l’esame di Stato per l’abilitazione al primo tentativo e presso la Corte di Appello di Milano; nel certamen che si svolge quell’anno indetto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano si posiziona tra i primi 10 migliori avvocati di Milano su circa 1.450 iscritti.
Concretezza e riservatezza, sono questi i due importanti principi con i quali da sempre lo Studio si rapporta con tutte le parti assistite.
L’avvocato Renato Zanfagna, seguendo le orme del padre che gli ha lasciato il timone dello Studio nel 2003, gestisce l’attività legale e grazie alle profonde radici e alla lunga tradizione di famiglia garantisce assistenza legale a livelli altamente competitivi.
Inoltre grazie a serietà, preparazione specifica e dinamismo dell’Avvocato Zanfagna e dei suoi collaboratori, lo Studio di Via Manzoni è considerato un punto fermo dalla sua clientela storica, costituita principalmente da importanti Gruppi Bancari e Istituti di Credito.
E poi c’è l’arte, un amore che ha radici antiche tramandate dal bisnonno dell’Avvocato Zanfagna: Giacomo Jucker, importante imprenditore tessile di origine svizzera, grande patriarca innamorato della sua famiglia e della sua azienda.
Amante dell’arte, inizia un percorso di mecenatismo appassionandosi in breve tempo alla pittura italiana dell’Ottocento, le cui opere lo porteranno alla riscoperta e valorizzazione della corrente artistica dei Macchiaioli.
Così tra il 1940 e il 1942 crea la sua personale collezione composta da oltre 80 dipinti, che sono stati protagonisti della mostra celebrativa del mecenate tenutasi nel 2016 al Museo Poldi Pezzoli di Milano: “L’incanto dei Macchiaioli, nella collezione di Giacomo e Ida Jucker”.
Amante soprattutto dell’arte contemporanea, l’avvocato Renato Zanfagna ha voluto quindi unire passione e professione specializzandosi, in particolare, nella gestione di tutto ciò che riguarda il Wealth Managment e l’aspetto legale relativo al mondo delle opere d’arte, dalle cessioni patrimoniali alla trasmissione di tali beni e in genere dei patrimoni di famiglia inter vivos e mortis causa, garantendo assistenza a Gallerie d’Arte di rilevo nazionale e internazionale, a imprese che operano e producono beni di Lusso e a clientela privata titolare di rilevanti patrimoni, non solo artistici, seguendo i clienti in ogni settore di tutela e valorizzazione dei beni anche in sede negoziale, sia sul mercato Nazionale che Internazionale.
Nel 2016 inizia la collaborazione con la i-AM Foundation di Milano, che sviluppa e certifica il protocollo ARTWORK ON STAGE, il cui obiettivo è arrivare a comporre per un'opera d'arte un dossier completo ed approfondito, che ne verifichi e testimoni la genesi, la struttura, la storia e la titolarità giuridica.
Avvocato
Esperta in diritto bancario, fallimentare e dell’esecuzione civile, si dedica principalmente all’attività giudiziale dello Studio.
Avvocato
Opera nel contenzioso civile e commerciale, diritto societario, contrattualistica commerciale e procedure esecutive
Lo Studio si occupa anche di tutto quello che concerne il Diritto Immobiliare, in particolare fornendo assistenza nella negoziazione e stipulazione di contratti di acquisizione e frazionamento immobiliare e gestendo anche rapporti con Fondi Immobiliari nazionali ed esteri
Parallelamente alle attività legate al campo bancario e finanziario, lo Studio gestisce attività in materia civile e concorsuale.
Lo Studio Zanfagna è specializzato in Diritto Bancario e Finanziario, garantendo assistenza legale sia ad importanti istituti di credito, società finanziarie e immobiliari che rappresentando anche imprese private ed investitori, nella gestione dei rapporti legali con banche e intermediari finanziari.
L’avv. Tito Zanfagna, che collabora con l’avv Renato Zanfagna all’interno dello Studio, ha maturato una competenza specifica nello sviluppo e gestione di una piattaforma informatica (work in progress) per l’attività di prestito tra privati denominata “social lending” (crowdfunding); la piattaforma, che avrà il nome di MOTUS QUO,
Continua... favorisce l’incontro tra richieste e offerte di prestiti personali tra privati con adeguati strumenti di sicurezza finalizzati ad evitare i rischi di insolvenza e di ritardato pagamento.
Il social lending rappresenta un fenomeno innovativo in forte crescita perché costituisce un modo efficace, trasparente e vantaggioso di ottenere liquidità tra privati, tanto da costituire un nuovo modello finanziario vero e proprio.
Parimenti la piattaforma informatica che sta creando MOTUS QUO consentirà ad utenti privati anche di ricercare, individuare ed investire il proprio patrimonio in crediti al consumo di altri privati.
La piattaforma si prefigge l’obiettivo di fungere da motore di ricerca del “credito al consumo” e “di investimento su tali crediti da parte del privato” rendendo, al contempo, trasparente il mercato stesso. In tal modo l’adeguamento dei tassi del costo del denaro tenderanno a rispecchiare la domanda e l’offerta
L’avvocato Renato Zanfagna ha maturato una profonda competenza nel Diritto Fallimentare, anche in ambito concorsuale assumendo incarichi di nomina giudiziaria dal Tribunale di Milano come pubblico ufficiale (Curatore fallimentare, Commissario Giudiziale e Liquidatore Giudiziale).
Continua...
Negli anni si è consolidata una specializzazione in tutto ciò che concerne il modo dei beni di lusso e quindi il Wealth Managment
Assistenza a Gallerie d’Arte
Lo Studio legale gestisce anche importanti patrimoni familiari, occupandosi della tutela e della trasmissione degli stessi e di Diritto Successorio.
ARTWORK ON STAGE® è un protocollo della i-AM Foundation curato dalla dott.ssa Valentina Fasan in collaborazione con l'avv. Renato Zanfagna dello Studio Legale Zanfagna.
Continua...
L'ente i-AM Foundation è un contenitore intellettuale dal profilo filantropico per il quale ogni
azione e pratica eseguita da un mecenate, viene messa a disposizione della collettività.
Nell’ambito dei campi di ricerca della i-AM Foundation si è sviluppato e certificato questo nuovo protocollo, il cui obiettivo è arrivare a comporre per un’opera d’arte un supporto professionale
attraverso notizie e informazioni aggiornate e autorevoli.
Il fine è la redazione di un dossier completo e approfondito, che ne verifichi e testimoni la genesi, la struttura, la storia e la titolarità giuridica.
Lo stile editoriale è sintetico, investigativo: vengono riportate le fonti della ricerca, soggetti, luoghi, immagini, testi e testimonianze e vengono vagliati i titoli giuridici dell'opera, analizzando ogni singolo segmento del suo percorso fino a giungere all'attuale proprietario.
La ricerca consente un approccio finale all'opera corredata di ogni suo elemento di complemento giuridico- storico - bibliografico- commerciale e ove richiesto, valutativo.
In occasione di incarichi di ricerca da parte di privati o enti per proprio interesse verso le opere d’arte, tutte le attività di raccolta di dati, informazioni e descrizioni relative, vengono rese
pubbliche attraverso una linea editoriale dedicata, dal sito dello Studio Legale Zanfagna.
La scelta di pubblicazione online permette lo sviluppo per ulteriori ricerche e opportunità di dialogo con il territorio, seguendo la naturale vocazione della i-AM Foundation, nel condividere le informazioni per metterle a disposizione in una dinamica di open source.
Le varie pubblicazioni di ARTWORK ON STAGE®, sono sviluppate indipendentemente l'una dall'altra, ovvero non sono vincolate ai contenuti presenti nelle altre, ma sono tenute unicamente al rispetto delle linee guida generali del progetto come punto di vista per uno studio approfondito e neutrale.
ATTIVITA’
Il protocollo prevede singoli passaggi per l’esame dell’opera d’arte, per arrivare a creare uno STORY TELLER esaustivo per genesi, struttura e storia, di modo da consegnare un
percorso finale corretto, sicuro e completo a chi desidera avvicinarsi alla gestione - cessione - acquisto di un patrimonio artistico o di singole opere d'arte.
Il protocollo ARTWORK ON STAGE® della i-AM Foundation curato dalla
dott.ssa Valentina Fasan in collaborazione con l'avv. Renato Zanfagna dello Studio Legale
Zanfagna, racchiude tutti gli elementi di complemento di un’opera d'arte ( titoli di provenienza, possesso e proprietà; storia - esposizioni - bibliografia – percorso commerciale).
Si realizza così "il dossier " dell'opera con tutto ciò che serve per accompagnare il
collezionista in una corretta gestione dell’opera per la valorizzazione nel mercato.
Area della ricerca storico -artistica
• Verifica dell’identità dell’opera d’arte e documentazione relativa all’autenticità
• Riferibilità dell’opera all’autore all’interno di Cataloghi ragionati o Archivi dell’artista o Istituzioni comprovanti la provenienza dell’opera all’interno della produzione artistica dell’autore in oggetto [IDENTITY]
• Studio e ricerca dei documenti relativi alla biografia e alla storia dell’opera [BIOGRAPHY]
• Ricerca provenienza
• Elenco esposizioni [ON STAGE]
• Elenco pubblicazioni
• Articoli o interviste con l’artista ove l’opera appaia citata [FOCUS ON]
• Materiale documentario fotografico rispetto alle fonti precedenti
• Fonti bibliografiche
Pubblicazione
• La ricerca viene redatta in un sedicesimo o trentaduesimo, dipendente dai materiali reperiti e pubblicata online accessibile dal sito dello Studio Legale Zanfagna
• Lo stile editoriale è sintetico, investigativo; vengono riportate le fonti della
ricerca, soggetti, luoghi, immagini, testi e testimonianze.
• Le varie pubblicazioni di ARTWORK ON STAGE®, sono sviluppate indipendentemente l'una dall'altra, ovvero non sono vincolate ai contenuti presenti nelle altre, ma sono tenute unicamente al rispetto delle linee guida generali del progetto come punto di vista per uno studio approfondito e neutrale.
Area del mercato dell’arte
• Storia dell’opera sul mercato [HISTORY]
• Ricerca valori di eventuali passaggi in asta o ove reperibili in Gallerie d’Arte
• quotazione presso una casa d’aste riconosciuta
Area Legale
• Verifica del rispetto del diritto, regole e giusta contrattualistica per accedere a una corretta gestione o compravendita di opere d'arte
• Verifica ed esame di titoli giuridici di provenienza e di proprietà
• Contrattualistica (mandato a vendere - acquisto e cessione opere d'arte - deposito - custodia - tipologia assicurativa del loro valore);
Presentazione
• Lo Studio Legale Zanfagna mette a disposizione una sala dedicata in Milano, via Manzoni 17, per presentazioni a piccoli gruppi delle opere d’arte e dei casi di ricerca per i mecenati, collezionisti e per gli Activated Members della i –AM Foundation.
Credito fondiario, concordato preventivo e divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive individuali.
Credito fondiario, concordato preventivo e divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive individuali.
Introduciamo il tema effettuando una premessa che, allo stato, alla luce della costante e granitica giurisprudenza, anche della Suprema Corte, può considerarsi come un punto fermo: il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali nei confronti del debitore in concordato preventivo riguarda anche il creditore fondiario, non essendo applicabile a questa procedura, che ha finalità di composizione della crisi dell’imprenditore, il privilegio processuale riconosciuto in caso di fallimento dalla legge speciale ( art. 41 T.U.B. che, appunto al secondo comma, prevede che “l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore” ).
La Cassazione ha ripetutamente affermato che le esecuzioni per credito fondiario non possono essere iniziate e quelle già in corso divengono improseguibili nell’alveo della procedura concordataria, in quanto “se l’art. 51 L.F. per il fallimento fissa la regola della improseguibilità delle esecuzioni singolari pendenti, con le eccezioni eventualmente previste dalla legge, l’art. 168 L.F. per il concordato preventivo pone una regola assoluta di improseguibilità, in difetto di riferimento alcuno ad ipotesi eccettuate”. (Cass. 11879/1991; Cass. 2922/1998; Cass. 13667/1999; Cass. 9488/2002).
Nello stesso solco della Suprema Corte si pone ora, con identiche motivazioni, anche una recente ordinanza del Tribunale di Bari del 18/11/2013.
Può allora essere importante approfondire, con considerazioni valide ovviamente non solo per il creditore fondiario, ma per qualunque creditore anche non “titolato”, quale sia esattamente l’arco temporale entro il quale l’azione esecutiva individuale non può essere proposta o, se già iniziata, non può essere proseguita.
L’art. 168 L.F., nella sua attuale formulazione, stabilisce che “dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore”.
La recente ordinanza del Tribunale di Bari sopra citata ha precisato che la improseguibilità della procedura esecutiva a seguito della pubblicazione del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo nel registro delle imprese, configura una ipotesi di mera sospensione, non di estinzione, della procedura medesima sino al momento in cui diventa definitivo il decreto di omologazione.
Quali sono allora le sorti della azione esecutiva individuale nel caso in cui il concordato venga omologato ed il relativo decreto divenga definitivo, atteso che l’art. 168 L.F. nulla dispone in merito al periodo successivo?
La questione è piuttosto nuova e sul punto i pochi precedenti giurisprudenziali non sono concordi.
Secondo un primo orientamento, il divieto di azioni esecutive riguarda, per i crediti anteriori, anche la fase di “esecuzione” del concordato (quella che si apre, appunto, dopo la omologazione definitiva), e ciò in virtù della esistenza dell’art. 184 L.F. che, vincolando tali creditori alla proposta concordataria omologata, deve intendersi quale norma di raccordo rispetto all’art. 168 L.F. (in tal senso, Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 6/2/2013; Tribunale di Modena, sentenza 9/2/2006). Tale corrente di pensiero ritiene che, ove si ammettesse la possibilità di aggressione individuale dei beni durante la fase di esecuzione del concordato, si vanificherebbe la possibilità stessa di realizzazione dello scopo della procedura concorsuale: infatti, si potrebbe realizzare eventualmente la soddisfazione integrale delle ragioni di un solo creditore, a discapito degli altri, non in linea con il principio generale della tutela della par condicio creditorum.
Esiste, però un diverso orientamento, a nostro avviso interessante per la validità logico/giuridica delle argomentazioni che lo sorreggono, secondo cui nessuna preclusione risulta esplicitamente prevista alla esperibilità di azioni esecutive individuali quando la procedura di concordato preventivo si concluda con l’omologazione e si apra la fase di attuazione dello stesso; l’art. 184 L.F., in forza del quale il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura concorsuale, imporrebbe solo che l’efficacia del titolo esecutivo incontri un limite nelle previsioni del concordato omologato, nel senso che dalla esecuzione individuale il creditore non potrebbe comunque trovare soddisfazione del suo credito in misura maggiore di quanto previsto per il rango del suo credito in sede di concordato omologato. Tale principio è affermato in una ordinanza del Tribunale di Milano del 17/12/2012 e, ancor prima, in un precedente della Corte d’Appello di Roma del 31/10/2006 che, in vigenza dell’art. 168 L.F. ante riforma, ove lo sbarramento temporale finale era dato dal passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato preventivo (oggi definitività del decreto di omologazione del concordato) stabilì che nessun ostacolo è più dato rinvenire dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, per i cui i creditori possono liberamente dare inizio alle azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore, anche per cause anteriori al decreto che ha dichiarato aperta la procedura.
In questo solco pare inserirsi anche il Tribunale di Pesaro che, con un’ordinanza del 19/09/2013 emessa nell’alveo di un procedimento esecutivo presso terzi, ha precisato che nessuna norma sancisce la estinzione della procedura esecutiva individuale per il solo fatto che sia stato emesso il decreto di omologa del concordato e, pur avendo citato il precedente del Tribunale di Reggio Emilia del 6/2/2013, sembra poi essersi allineato, in via di fatto, al Tribunale di Milano, laddove ha disposto che la parte debitrice esecutata in concordato depositasse idonea documentazione inerente la condizione economica del concordato stesso, in modo da poter verificare “quale sia l’importo oggetto del pignoramento, posto in relazione con il credito vantato dalla creditrice procedente, con espresso riferimento alla c.d. falcidia concordataria, prima di procedere ad una eventuale assegnazione od alla emissione di altro provvedimento”.
§§§§
Fallimento, credito assistito da garanzia reale e incidenza sullo stesso delle spese di procedura e del compenso del Curatore.
In tema di incidenza dei costi della procedura fallimentare, suscettibili di prededuzione ex art. 111, comma I della legge fallimentare, sulle somme provenienti dalla vendita di beni gravati da garanzia reale (pegno ed ipoteca) e destinate ad essere attribuite, in sede di distribuzione, ai creditori assistiti da tale garanzia, la Suprema Corte ha ormai da lungo tempo assunto un orientamento univoco.
Si delinea, inevitabilmente, un contrasto fra l’esigenza di assicurare il pagamento delle spese del fallimento e quella di assicurare il soddisfacimento dovuto ai creditori muniti di garanzia sopra determinati beni (creditori cui è destinato, con preferenza rispetto agli altri creditori, il ricavo della vendita di quei beni) che, in quanto tali, non hanno particolare interesse alla procedura concorsuale, la quale non arreca loro beneficio ulteriore rispetto a quello già assicurato dalla garanzia reale, escutibile anche prima del fallimento mediante l’esecuzione individuale.
La Suprema Corte ha ricercato il punto di equilibrio fra tali contrapposte esigenze interpretando l’art. 111 L.F. nel senso che la prededucibilità delle spese incontrate nel corso della procedura fallimentare non può gravare ugualmente sulla totalità dell’attivo, dovendo il suo effetto essere limitato, per i beni gravati da garanzie reali speciali (pegno ed ipoteca), alle sole spese ed ai soli oneri specificamente correlati alla amministrazione e alla liquidazione di detti beni, ovvero che siano attinenti ad attività di amministrazione direttamente rivolte all’incremento dei beni stessi o comunque destinate a realizzare una specifica utilità o beneficio in capo al creditore garantito.
In particolare, è stato da tempo chiarito che la prededuzione delle spese della procedura possa incidere sul bene gravato da garanzia reale speciale anche per una quota delle spese generali, da calcolarsi, in relazione alle circostanze concrete, in misura corrispondente all’interesse ed alla utilità, anche solo potenziale, cioè sperata, pur se non concretamente realizzata, del creditore garantito. (si segnalano, fra le tante pronunce, Cass. 3015/1971; Cass. 5104/1997; Cass. 4626/1999; Cass. 2329/2006). Dunque, si può affermare che, sul ricavato della vendita dei beni (nella maggior parte dei casi, immobili) gravati da garanzia reale ( nella maggior parte dei casi, ipoteca) possono essere collocate in prededuzione non solo le spese specifiche riconducibili alla conservazione/amministrazione/liquidazione del bene, ma anche una quota parte del compenso spettante al curatore ed una porzione delle spese generali della procedura.
Con riguardo al compenso spettante al curatore, la Suprema Corte ha rinvenuto la conferma normativa che esso debba gravare, in parte, anche sul ricavato della vendita dei beni gravati da garanzia reale appresi all’attivo fallimentare, nell’art. 109 della Legge Fallimentare, secondo cui il tribunale, nel distribuire il ricavato della vendita dei beni immobili, stabilisce con decreto la somma da attribuire, se del caso, al curatore, in conto del compenso finale da liquidarsi a norma dell’art. 39 L.F.
Ai fini della determinazione di detta quota, la Corte di Cassazione fa espresso riferimento alla remunerazione delle attività di amministrazione e di liquidazione che il curatore abbia compiuto e che siano specificamente riferibili ai beni ipotecati e finalizzate a consentire il soddisfacimento delle ragioni del creditore ipotecario, così come alle attività svolte dal curatore in sede di verifica dei crediti con riguardo alla domanda del creditore garantito, atteso che la ammissione al passivo fallimentare è presupposto e condizione indispensabile affinchè il creditore (si badi anche in caso di sussistenza di credito fondiario) possa partecipare al concorso e far valere il proprio diritto di prelazione sul ricavato dei beni gravati dalla ipoteca a suo favore (Cass. 5104/1997; Cass. 4626/1999).
Per la quantificazione di detta quota, la Suprema Corte indica che la valutazione debba essere effettuata in concreto alla luce delle circostanze di volta in volta riscontrabili nelle singole procedure e che, comunque, possa procedersi ad una valutazione comparativa che ponga a raffronto l’attività svolta dal curatore nell’interesse generale della massa e quella specificamente riferibile all’interesse dei creditori garantiti. A tal fine, continua la Suprema Corte, non esiste alcun ostacolo logico o giuridico alla adozione di un criterio di imputazione riflettente il rapporto proporzionale di valore dei beni immobili ipotecati rispetto alla restante parte dei beni liquidati nell’ambito della procedura fallimentare, se gli organi della procedura ritengano che esso risulti rispondente alla valutazione della attività effettivamente svolta dal curatore nell’interesse dei creditori muniti di garanzia reale in rapporto alla restante massa dei creditori partecipanti al concorso.
La valutazione è rimessa al giudice di merito ed è, quindi, il giudice di merito che deve dare concretezza in sede applicativa ai principi dettati dalla Suprema Corte.
Il Tribunale di Monza, ad esempio, con un recente provvedimento dell’ 11 gennaio 2013, ha ritenuto che non possa prescindersi dal fatto che, in caso di procedura esecutiva individuale, dalla somma proveniente dalla vendita del bene sarebbero stati pacificamente decurtati i compensi spettanti al custode e/ o al delegato per le attività di amministrazione, custodia e liquidazione del bene, nonché per la predisposizione della bozza del piano di riparto; se, nell’ambito della procedura fallimentare, tali attività vengono, invece, effettuate dal curatore, al fine del corretto bilanciamento degli interessi del creditore assistito da ipoteca e degli interessi della massa dei creditori, secondo il Tribunale di Monza la prededuzione deve essere riconosciuta ad importi che “non siano eccessivamente superiori” (così letteralmente) rispetto a quelli che il creditore avrebbe dovuto comunque sopportare nella procedura esecutiva individuale. La Cassazione ha, inoltre, chiarito che sul ricavato della vendita dei beni gravati da garanzia reale deve essere collocata in prededuzione anche una quota delle spese generali della procedura, da determinarsi in misura corrispondente all’accertata utilità delle stesse per il creditore garantito, adottando, ove non sia possibile un’esatta valutazione, il criterio di proporzionalità tra il valore del bene gravato dalla garanzia reale e quello degli altri beni facenti parte dell’asse fallimentare, la cui applicabilità è, tuttavia, subordinata alla certezza della utilità di tali spese per il creditore garantito.
Tale principio è stato ribadito con fermezza dalla Cassazione nel 2010 (sentenza n. 11500 del 12/5/2010), che ha cassato un decreto del Tribunale di Milano del 1/2/2005 che, invece, aveva ritenuto applicabile, invertendo il ragionamento, il criterio della proporzionalità “in mancanza di certezze in merito all’inutilità, per l’ipotecario, di alcune delle spese rientranti in quelle globali”.
Si segnala, in particolare, in quanto a nostro avviso significativo esempio di spese generali della procedura che sono state ritenute prededucibili pro quota a valere sul ricavato della vendita in sede fallimentare di un immobile gravato da ipoteca, la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 13672 del 13/06/2006.
Nella fattispecie portata all’esame della Corte in tale occasione, l’esborso per il riacquisto da parte del fallimento di macchinari che la fallita aveva detenuto in locazione finanziaria e poi restituito, è stata considerata come spesa generale della procedura da cui anche il creditore ipotecario aveva tratto utilità, in considerazione del fatto che i tentativi di vendita separata dell’immobile erano rimasti infruttuosi, essendo l’interesse dei potenziali acquirenti rivolto al compendio aziendale nel suo complesso, di cui i macchinari costituivano il fulcro. I potenziali acquirenti, cioè, avevano in quel caso manifestato l’intendimento di proseguire l’attività della impresa fallita con gli stessi dipendenti, per godere di una serie di vantaggi fiscali, contributivi e finanziari, donde la scelta gestionale degli organi della procedura di ricostituire l’azienda, nella prospettiva della liquidazione di tutti i beni dell’attivo, compreso l’immobile rimasto fino a quel momento invenduto.
§§§§
Domande “tardive” ed “ultratardive” di ammissione al passivo fallimentare: focus sui pricipali orientamenti giurisprudenziali emersi sul vigente art. 101 della Legge Fallimentare.
L’art. 101 della Legge Fallimentare qualifica come “tardive” le domande depositate in cancelleria oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dello stato passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, prorogabile a diciotto mesi dal tribunale con la sentenza dichiarativa di fallimento, in caso di particolare complessità della procedura. Attualmente, non è più consentito il deposito cartaceo delle istanze di insinuazione al passivo fallimentare, sostituito a tutti gli effetti dalla trasmissione a mezzo PEC alla curatela.
Dunque, sono tempestive le domande che vengono trasmesse alla curatela fallimentare via PEC entro il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica dello stato passivo; sono invece tardive le domande che vengono trasmesse oltre il predetto termine di trenta giorni ed entro quello di dodici mesi (diciotto in caso di proroga disposta nella sentenza dichiarativa di fallimento) decorrente dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.
L’ultimo comma della norma in esame prevede che “decorso il termine di cui al comma 1, e comunque fino a che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa non imputabile”: sono queste le cc.dd domande “ultratardive”. Occorre precisare che il termine dettato dall’art. 101 L.F. è, per costante giurisprudenza, un vero e proprio termine decadenziale, scaduto il quale opera una presunzione relativa di inammissibilità della domanda di ammissione al passivo, che il creditore supertardivo può superare solo ed in quanto sia in grado di dimostrare che, in concreto, il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile (cfr., per tutte, Cass. 19/03/2012 n. 4310).
Soffermiamoci, allora, su alcuni aspetti che a nostro avviso, posso essere di utilità sul piano pratico.
I
Il termine di cui all’art. 101 L.F. è soggetto oppure no alla sospensione feriale dei termini?
Il primo quesito che merita attenzione è se il termine decadenziale di cui all’art. 101 L.F. (12/18 mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo) che segna lo “spartiacque” fra domande “tardive” e domande “supertardive” sia un termine “sostanziale”, e come tale non soggetto a sospensione feriale dei termini, oppure “processuale” e, quindi, soggetto alla predetta sospensione. Sul punto, dopo varie oscillazioni giurisprudenziali, si registra, infine, l’intervento della Corte di Cassazione che, con due sentenze del 2012 (la n. 12960 del 24/7/2012 e la n. 21596 del 3/12/2012), ha chiarito che al procedimento di accertamento del passivo che si svolge davanti al giudice delegato è applicabile la sospensione feriale dei termini e che, specificamente, la sospensione si applica al termine annuale di cui all’art. 101 L.F.
Dunque, considerando la sospensione feriale che opera dal 1 agosto al 15 settembre, il termine è, realmente, di un anno + 45 giorni.
II
Il creditore precedentemente “impedito”, ha un termine per presentare la domanda di ammissione al passivo volta che la causa impeditiva sia venuta meno?
Sul punto si registrano oscillazioni giurisprudenziali e divergenze interpretative. Segnaliamo alcuni significativi precedenti da noi rinvenuti:
III
Il creditore ultratardivo deve necessariamente, già nel momento in cui propone la domanda di ammissione al passivo, allegare le ragioni a sostegno della non imputabilità a sé del ritardo?
La prova della non imputabilità del ritardo è senz’altro considerata condizione di ammissibilità della domanda; la giurisprudenza da noi rinvenuta, anzi, ritiene che il creditore che presenta una domanda supertardiva di credito abbia l’obbligo, ancor prima di provare, di allegare le ragioni dalle quali possa evincersi che il ritardo non sia a lui imputabile, e che il difetto di tale allegazione comporti la radicale inammissibilità della domanda, essendo precluso al creditore di effettuare tale allegazione successivamente, in sede di osservazioni al progetto di stato passivo o di opposizione ex art. 98 L.F. (si veda, in tal senso, Trib. Cagliari, 20/12/2012, che rinviene, a fondamento della decisione, un precedente in Cassazione n. 15702 del 2011, che ha statuito il generale divieto della allegazione, successivamente al deposito della domanda, di fatti che il creditore avrebbe dovuto indicare nel ricorso introduttivo e che in tale atto sono stati omessi – nel caso di cui si era occupata la Suprema Corte, richiesta di privilegio non contenuta nella domanda originaria - ; si veda, altresì, Trib. Udine, 8.5.2013).
IV
In concreto, così si intende per “ritardo dipeso da causa non imputabile”?
La giurisprudenza sottolinea come la nozione di “causa non imputabile” di cui al 4° comma dell’art. 101 L.F. sia la stessa di quella prevista dall’art. 1218 c.c. in tema di responsabilità contrattuale, con la conseguenza che la sua valutazione deve essere compiuta alla luce degli stessi canoni interpretativi elaborati in tema di inadempimento o ritardo nell’adempimento contrattuale.
In tale prospettiva, l’ultratardività può essere giustificata solo quando il creditore dimostri che il ritardo dipende da causa non riferibile a sua colpa e, quindi, non riconducibile ad incuria, negligenza, trascuratezza, ignoranza o malafede, ovvero ricollegabile ad un fatto involontario, dovuto a caso fortuito, forza maggiore o errore incolpevole (in tal senso, Tribunale Macerata, 11/11/2008; Tribunale Modena, 5/12/2008; Tribunale Novara, 5/12/2012; Tribunale Salerno, 20/5/2013).
Uno dei casi più frequenti è quello del mancato o tardivo invio, da parte del curatore, dell’avviso ai creditori previsto dall’art. 92 delle Legge Fallimentare.
Secondo la giurisprudenza assolutamente maggioritaria, il mancato invio da parte del curatore al creditore del predetto avviso , oppure la sua mancata ricezione, oppure ancora la comunicazione del predetto avviso con ritardo, integrano causa non imputabile al creditore, potendo però il curatore provare (onere della prova rimesso in questo caso alla curatela, dunque) che il creditore ha avuto comunque notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell’ avviso (si vedano, in tal senso Cass. 19/03/2012 n. 4310, che ha ritenuto, però, che la sola iscrizione del fallimento nel registro delle imprese non sia sufficiente ad addossare al creditore un onere di controllo “a tutto campo” in relazione alle vicende del proprio debitore; Tribunale Novara, 5/12/2012; Tribunale Udine, 8/5/2013; Tribunale Pescara, 10/2/ 2009).
Viene, invece, considerata irrilevante ai fini della prova della non imputabilità del ritardo la complessità della organizzazione interna del creditore (si veda, ad esempio, Tribunale Pescara, 10/2/2009).
Un cenno particolare meritano, a chiusura della presente nota, i crediti tributari. La giurisprudenza ritiene che, quando la domanda supertardiva sia presentata dalla società concessionaria per la riscossione in relazione a crediti tributari vantati dalla Agenzia delle Entrate o da altro Ente impositore, il ritardo nella presentazione della istanza da prendersi in considerazione non è solo quello che discende dalla attività della concessionaria, ma anche quello derivato dalla formazione del ruolo da parte della amministrazione finanziaria che è l’effettiva creditrice.
La legislazione fallimentare non può subire deroghe derivanti da eventuali termini più lunghi di decadenza previsti dalla legislazione tributaria per le procedure di accertamento e di emissione dei ruoli e delle cartelle. Si ritiene, quindi, che l’Amministrazione Finanziaria, come tutti gli altri creditori, debba rispettare il termine annuale di cui all’art. 101 L.F. (cfr. Cassazione 13/10/2011 n. 21189).
In altri termini, volta che l’Amministrazione Finanziaria abbia avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo in termini inferiori a quelli massimi attribuiti dalla legge tributaria per l’espletamento di tali incombenze. La Corte di Cassazione ammette che, ai fini della presentazione della istanza di insinuazione al passivo, sia sufficiente l’esistenza del ruolo, che costituisce valido titolo attestante il credito, senza dover attendere la formazione e la notifica della cartella esattoriale (cfr. Cass. 12019/2011); parimenti, l’Ufficio Finanziario può presentare istanza di ammissione al passivo sia pure con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ex art. 96 L.F. con riserva di produzione dei documenti.
In conclusione, dunque, in caso di presentazione ultra-annuale della istanza, la scusabilità del ritardo va valutata solo in relazione ai tempi strettamente necessari all’Amministrazione Finanziaria per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo (si vedano, oltre alle decisioni già citate, Cass. n. 24445/2010 e, nella giurisprudenza di merito, Tribunale di Salerno 20/5/2013; Tribunale Udine, 8/5/2013; Tribunale di Reggio Calabria, 24/06/2011).
§§§§
Ancora in materia di mutuo fondiario stipulato per estinguere debiti preesistenti del mutuatario nei confronti dell’istituto di credito mutuante.
Ad integrazione di quanto già esposto nella nostra circolare n. 1 del gennaio 2014, alla quale rimandiamo integralmente, segnaliamo solo che anche il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 20/1/2014, si è inserito nel solco giurisprudenziale che ritiene che il mutuo fondiario stipulato allo scopo di estinguere uno o più debiti preesistenti scaduti del mutuatario non sia nullo per illiceità della causa, atteso che il mutuo fondiario non costituisce mutuo di scopo e, comunque, sotto il profilo causale, il finanziamento si realizza in tal caso nella forma di un dilazionamento di un debito altrimenti immediatamente esigibile. La nullità del contratto, dunque, secondo tale pronuncia, può configurarsi solo ed alla condizione che i debiti pre-esistenti fossero illeciti (perché inesistenti o perché frutto di violazione di norme imperative).
§§§§
Istanza di insinuazione al passivo ed opponibilità alla procedura del decreto ingiuntivo non dichiarato esecutivo ex art. 647 C.p.c. prima della declaratoria fallimentare (Cassazione n. 1650 del 20/11/2013 – 27/1/2014).
La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, ha ribadito l’orientamento costante secondo cui il decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore e non dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 647 C.p.c., prima della dichiarazione di fallimento del debitore, non ha efficacia di giudicato né formale, né sostanziale e, conseguentemente, è inopponibile alla procedura fallimentare. Il creditore deve, quindi, proporre la domanda di ammissione per far accertare ex novo nella sede concorsuale il suo credito, con i conseguenti oneri probatori a lui rimessi.
Tale principio era già stato affermato sia in caso di decreto ingiuntivo, anche emesso provvisoriamente esecutivo, opposto dal debitore in bonis (per citare solo le decisioni più recenti, Cass. 12 febbraio 2013 n. 3401; 3 gennaio 2013 n. 39; 13 febbraio 2012 n. 2032), sia anche nel caso in cui mancasse solo il decreto di esecutività ex art. 647 C.p.c., pur non essendo stato opposto nei termini di legge il decreto prima della declaratoria fallimentare del debitore (si vedano, ad esempio, Cass. 11 ottobre 2013 n. 23202; Cass. 17 luglio 2012, n. 12205; Cass. 13 marzo 2009 n. 6198).
Nel suo ultimo intervento, la Suprema Corte ha ribadito tale consolidato principio in un caso in cui il creditore ha chiesto la ammissione al passivo del proprio credito con privilegio ipotecario, in forza di un decreto ingiuntivo emesso provvisoriamente esecutivo, non opposto nei termini di legge dal debitore in bonis, ma munito del visto di definitività per non proposta opposizione solo dopo la sentenza di fallimento.
Il creditore, un Istituto di Credito, ha cercato di sollecitare un mutamento di tale orientamento costante della Corte di legittimità, denunciandone anche il contrasto con il diritto costituzionale e comunitario, ma la Cassazione ha ritenuto, ancora una volta, di non potersene discostare.
Premettendo la assoluta coincidenza temporale del giudicato formale e del giudicato sostanziale, la Suprema Corte ha ritenuto che il giudicato non si formi nel momento del decorso del termine per proporre l’opposizione al decreto ingiuntivo, quando questa non sia stata proposta, bensì nel momento in cui, ex art. 647 C.p.c., il giudice, dopo avere controllato la regolarità della notifica alla parte debitrice, dichiari esecutivo il decreto ingiuntivo (o definitivamente esecutivo il decreto che già lo sia provvisoriamente).
Afferma, infatti, la Cassazione che, al momento della materiale scadenza dei termini per l’opposizione, non vi è stato ancora alcun controllo giurisdizionale sulla regolarità ed effettività della notifica, che rappresenta un passaggio ineludibile a garanzia del diritto di difesa dell’intimato. Infatti, l’art. 647 C.p.c. prevede che, nel caso in cui non sia stata fatta opposizione nel termine, il giudice deve ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza del decreto. L’eventuale rinnovazione della notificazione consente all’ingiunto di proporre, nei termini decorrenti dalla nuova notificazione stessa, l’opposizione, considerata a tutti gli effetti come ordinaria e non tardiva.
Secondo la Cassazione, la conoscenza del decreto da parte dell’ingiunto non può essere accertata al di fuori del procedimento monitorio, eventualmente, quindi, anche dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo, ma costituisce l’oggetto di una verifica giurisdizionale che si pone all’interno del procedimento di ingiunzione e che conclude l’attività in esso riservata al giudice in caso di mancata opposizione. Corollari di tale principio sono:
Nel solco segnato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, segnaliamo anche un recentissimo intervento del Tribunale di Treviso, che con sentenza del 22/5/2013 – 17/3/2014 si è pronunciato su un caso in cui il decreto ingiuntivo era stato opposto, il giudizio di opposizione si era estinto prima della apertura della procedura di fallimento, ma il decreto era stato dichiarato definitivo ex art. 653 e 654 C.p.c. successivamente alla apertura della procedura concorsuale. Anche in questo specifico caso il decreto ingiuntivo è stato ritenuto inopponibile al fallimento in quanto la apposizione, a seguito di verifica positiva del giudice che ha emesso l’ingiunzione, del visto di definitività del decreto ingiuntivo conseguente al passaggio in giudicato del provvedimento dichiarativo dell’estinzione del giudizio di opposizione, è stato equiparato al provvedimento ex art. 647 C.p.c.
Macchiaioli: un po’ di storiaI coniugi Jucker…
Via Alessandro Manzoni, 17 - 20122 Milano
02.72003218 - studio@zanfagna.it
Copyright 2016 Powered by Radar